“Rubare le monetine a Fontana di Trevi è furto, alla Barcaccia no”
Follie di Roma: Unità.tv raccoglie lo sfogo di un vigile romano a piazza di...
Salvini contro Renzi (non è una notizia), contro Tsipras, contro Papa Francesco (peccato per lui, Salvini, s’intende). Salvini contro l’Istat, contro Marino e Pisapia, contro il reato di tortura e contro gli aiuti alla Grecia, contro l’euro e contro la lira, contro il Sud (Italia) e contro il Nord (Europa), contro Fedez e contro Jovanotti. Salvini contro le canne. Però con le prostitute…
I GEMELLI DEL NULLA
La minaccia è arrivata dalla Festa del Fatto – e dove sennò?: “Potrei candidarmi”, ha detto Di Battista di fronte ad una platea estasiata. In una giornata dominata dalle esternazioni di Sabrina Ferilli, improvvisata Simone Weil dei poveri, il discorso del Dibba ha inevitabilmente fatto da controcanto a quello dell’amico-nemico Di Maio, che invece parlava davanti ai capitalisti di Cernobbio tentando goffamente una captatio benevolentiae (adesso l’euro gli piace).
Dibba descamisado in jeans, Giggino in doppiopetto, la piazza e il Palazzo, le masse e il potere: ma trattasi di una finta contrapposizione visto i due sono accomunati dal nulla assoluto. E anche da – come definirla – una sottile, immanente paura: quella di non farcela. Sarà per questo che Dibba ha fatto balenare l’ipotesi di lasciar perdere la norma dei due mandati parlamentari in base alla quale questi fra cinque anni dovrebbero lasciare prebende, potere, visibilità e soldini? E anche Di Maio va capito: giunto all’ultima curva, lui che si vede già assiso sulla poltrona di palazzo Chigi, suda freddo davanti agli applausi per Alessandro o per i possibili consensi al più di sinistra di tutti, che peraltro si chiama pure Fico. Senza contare che ‘sta roba della candidatura a premier si decide colà dove si puote: a Milano e a Genova. Altro che democrazia della rete. Giggino nella rete può finirci dentro, come un tonno qualunque.
Ricapitoliamo tutta la storia. Calano un po’ in tutta Italia le percentuali di vaccinazioni. Si scende sotto la soglia di sicurezza e si registra un’epidemia di morbillo. Il governo decide di prendere provvedimenti attraverso un decreto, valutando quali sono i vaccini che vanno reintrodotti come obbligatori. Si decide, inoltre, che per accedere ai nidi e materne bisogna essere in regola con le vaccinazioni, sulla scia di quanto fatto già in Emilia-Romagna.
Ora c’è il governatore veneto Luca Zaia – fino a questa vicenda considerato una persona seria – che già dall’inizio di tutta questa storia decide di diventare il portabandiera della lotta ai vaccini. Non sceglie di tutelare i suoi corregionali, ma di appoggiare solo di una parte di essi, gli antivaccinisti. Alla decisione del ministero della Salute dichiara di contrapporre il dialogo (come se sulla scienza fosse normale accogliere come vere delle semplici “opinioni”).
Dietro il dialogo si nasconde semplicemente la voglia di temporeggiare per trovare il modo di evitare il decreto. Per fare ostruzionismo. Per fare un po’ di casino. Dopo aver annunciato, a giugno, di voler impugnare la legge, ora il governatore del Veneto ha un’altra idea: concedere una proroga di due anni per la vaccinazione dei bambini da 0 a 6 anni. Due anni durante i quali in quella regione, a causa della lobby antivax (che si lamenta della lobby delle case farmaceutiche), i più indifesi non saranno tutelati: i neonati e i bambini immunodepressi, solo per fare i due esempi più eclatanti. Ha ragione il ministro Lorenzin: il decreto del Veneto non è sostenibile. Zaia dovrà assumersi la responsabilità di quello che può accadere in ogni struttura e ai singoli alunni. Fino alle estreme conseguenze, anche penali.
La marcia su Roma va vietata. Punto. E a chi grida alla libertà di opinione si risponde semplicemente che qui non si tratta di semplici idee ma di apologia di fascismo, vietata dalla Costituzione. Una manifestazione che viola anche la legge Scelba e la legge Mancino.
Una vera provocazione, a partire dalla data scelta per il corteo: il 28 ottobre che riporta alla memoria quella marcia del Partito fascista nella Capitale, simbolico inizio di vent’anni di regime in Italia.
Il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia commenta esterrefatto che “stanno osando l’inosabile”.
Ci aspettiamo, proprio per il rispetto che dobbiamo alla Costituzione e a tutti coloro che hanno combattuto per la liberazione di questo Paese, che le istituzioni di ogni livello intervengano.
Che questo rispetto per la Costituzione non resti solo uno slogan usato da molti con determinati fini politici, ma che si concretizzi con decisioni esemplari da parte di chi ci rappresenta.
Non si può restare in silenzio, ma non ci si può nemmeno limitare a commentare. Lo dobbiamo a una città e a un Paese interi, a chi ha lottato ed è morto per la libertà.
La disfatta di Zaia
Luca Zaia è un democristianone 2.0, non è Salvini né tantomeno il Bossi delle origini. Fa un passo avanti e due indietro, se necessario. Alza la mano per chiedere la parola, non per dare un cazzotto. Non mette mai la quarta, caso mai la retromarcia. Infatti sulla vaccinazione obbligatoria è tornato indietro e dunque, niente moratoria di due anni del decreto. E’ una figuraccia, ma lui la maschera col buon senso di chi ammette lo sbaglio. Fosse stato comunista, avrebbe fatto l’autocritica. Certo, rimane l’idea del ricorso alla Corte costituzionale, ma è un’altra roba: il governo gli ha fatto buh e tanto è bastato. A onor del vero, Zaia si era limitato ad un blando “fatemi capire, se sbaglio rivedrò la mia posizione”: non è che avesse minacciato l’insurrezione veneta. Perché lui è fatto così. Non è come quel Salvini che ha fatto ancora una volta la figura del pirla, rimanendo solo – Maroni lo aveva già scaricato – a piagnucolare sul “decreto sovietico” (fosse colto avrebbe detto la parola russa ukase ma lasciamo perdere) che, giustamente, impone l’obbligo di vaccinazione ai nostri bambini. No, Luza Zaia pirla non è, anche se qualche volta ci va vicino.
Meno male che Marco c’è
Non si capisce perché l’autorevole Guardian definisca Marco Minniti “uno dei politici più controversi d’Europa”. Controverso? Se c’è un uomo politico che sta seguendo una linea chiara – che ovviamente si può non condividere, ma questo è un altro discorso – è proprio Minniti. Sta cercando di governare il problema immane dell’immigrazione innanzi tutto scongiurando naufragi e cadaveri, e poi intraprendendo un’azione politica tutt’altro che semplice lì, in Libia. Ci riuscirà, non ci riuscirà? Presto per dirlo ma intanto non vediamo più barconi carichi di nostri fratelli rovesciarsi nel Mediterraneo, e scusate se è poco. Poi ci sono quelli sempre col ditino alzato che dicono: “Ma stanno nei lager libici”. Giusto. Sono i lager che c’erano dai tempi di Gheddafi, quel Gheddafi omaggiato da Berlusconi e D’Alema per via di quella realpolitik che oggi D’Alema critica (che coraggio-ndr). Ora, smantellare i lager come chiunque può facilmente capire, è una cosa complicata, che non si fa in un giorno , a meno che non si pensi a una invasione della Libia con successiva apertura delle carceri, e soprattutto non può fare l’Italia da sola. Perché controverso, dunque? Forse perché – citiamo ancora il Guardian – “ha guadagnato elogi e popolarità a destra e notorietà in parti della sinistra”? E cosa deve fare, un ministro, se non cercare di ottenere il consenso del Paese? Che articolo controverso!
Con Livorno
Un’altra volta. I nubifragi. Un’altra volta i morti. Non è la Florida ma Livorno è in ginocchio, e conta i suoi morti. Sembra un incubo, è un incubo. Tutti ripeteremo le solite cose, l’incuria dell’uomo, la totale disattenzione all’ambiente, le lentezze… Per puro caso proprio oggi Walter Veltroni su Repubblica scrive della necessità di rimettere l’ambientalismo al primo posto. Soprattutto la sinistra, che è ambientalista nel suo dna – o dovrebbe esserlo. Bisognerà tornarci su. Ma oggi siamo con la testa alla cara Livorno.
Sergio Rizzo? Sembra Marco Rizzo
Nelle ore dell’emergenza-alluvione, Sergio Rizzo ha pensato bene di fare il suo editoriale su Repubblica prendendosela con il Pd. E’ soprattutto colpa del partito di Renzi, “assorbito dalla pura logica del consenso”, se l’Italia va sott’acqua ogni volta che piove, è il Pd che è inerme rispetto ai problemi dell’ambiente e della cura del territorio, è il Pd che è insensibile all’urgenza della prevenzione e del risanamento. Opinioni, certo. Ma quello che colpisce è il tic propagandistico del vicedirettore di Repubblica, di solito così minuzioso, documentato e persino pignolo: stavolta ha fatto un comizio scritto. Sergio Rizzo – peccato – oggi sembra Marco Rizzo, quello del cosiddetto partito comunista.
Cancelleri cancellato
Dopo anni di litanìe sull’uno vale uno, il primato della rete, la riesumazione della salma di Jean Jacques Rousseau che riposava tanto bene al Pantheon di Parigi accanto a Voltaire, finalmente abbiamo capito: le votazioni dei militanti grillini sul web non esistono. Sono fuffa. Ologrammi. Spettrali messe in scena di uno spettacolino di marionette. Non è uno scoop giornalistico. E’ che tutti sanno che è già apparecchiato per l’incoronazione di Luigi Di Maio, che infatti se ne va in giro vestito che sembra un manichino di Upim: crede che faccia più “istituzionale”. Oppure guardate le “regionarie” in Sicilia, annullate dal giudice perché il meccanismo ledeva i diritti di altri candidati, con grave scorno per il candidato Cancelleri, un altro che già si vedeva Governatore siciliano. Anche le buffonate hanno le gambe corte…
Aridatece Mastella
Assolto. Dopo 9 anni. Intanto per quel rinvio a giudizio cadde il governo Prodi, si distrusse una forza politica, si gettò nel dramma una famiglia. Sì, Mastella non aveva commesso alcun reato. Bene. Chi lo ripaga? Nessuno. La storia politica d’Italia è cambiata? E chi se ne frega. Ma lasciamo la parola al direttore del Mattino, Barbano, da sottoscrivere fin nelle virgole: “Dieci anni, in politica, sono tanti. Ma non ce la sentiremmo però di dire che sono abbastanza per giurare che in futuro di simili, abnormi vicende non si dovrà più parlare. Non è così, perché il tessuto normativo e quello dell’organizzazione giudiziaria non sono così cambiati in questi anni. La politica soffre lo stesso discredito di allora, ma soprattutto l’avviso di garanzia funziona allo stesso modo, lo squilibrio fra accusa e difesa pesa ancora sul processo, di separazione delle carriere non si parla, l’assetto dell’ufficio del pubblico ministero è rimasto sostanzialmente uguale, e i tempi della giustizia restano intollerabilmente lunghi. In queste condizioni, chi può dire che non si verificherà più che un ministro o un governo vengano travolti da un avviso di garanzia per scoprire solo dieci anni più tardi che quelle accuse erano senza fondamento? Ci sarebbe di che riflettere. Ci sarebbe…”.
“Abbiamo una bomba”
E bravi, questi “inquirenti” del Noe. Dissero alla procuratrice di Modena Lucia Musti: “Dottoressa, lei ha una bomba in mano. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi”. Ma chi è davvero questo Scafarto che parlava così? E questo famoso “Ultimo”, l’uomo che arrestò Totò Riina, si sta vendicando di qualcosa, di qualcuno? Ma in che mani siamo? Questo affare Consip doveva diventare l'”affare Renzi”, un tentativo di rovesciare il legittimo governo italiano, un’operazione per demolire il Pd e il suo segretario. Sono mesi che escono rivelazioni inquietanti che solo la fervida fantasia di Marco Travaglio può derubricare a “errore” (sul Fatto oggi nemmeno una riga, vergogna). No, qui la vicenda è grave. Sbrigatevi a chiarire chi, come e perché attentava allo Stato.
Il dolore di Repubblica per il Rosatellum
Oggi Repubblica doveva uscire listata a lutto. Avrebbe reso l’idea del dolore di largo Fochetti per l’approvazione alla camera della legge Rosato. Dolore fin dal titolo: “Il voto segreto non ferma la legge elettorale”. Sigh. Nel sommario: “Passa alla camera nonostante 50 tiratori” (erano 40 ma vabbè); “Renzi preoccupato”. Bah. Ancora: “Sì alla norma salva-impresentabili” (che non esiste). Michele Ainis, commentatore crepuscolare, scrive l’editoriale, “La stanca democrazia” (meglio scappare a Parigi come negli anni Trenta). Altan: “Ci serve una legge condivisa con cui non andare a votare”: semmai è una legge non condivisa che consente di andare a votare, ma tutto fa brodo. L’exploit è a pagina 3: “Renzi terrorizza i dem via sms”. Sms? A largo Fochetti non sapevano che in realtà Renzi aveva pronti mitra e bombe a mano. Coraggio, colleghi, non prendetevela così.
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